FAGUS SYLVATICA 1981-2021. Odissea di un faggio chiamato “ZAMPA D’ELEFANTE”.

Faggio Zampa di elefante visto nel 2021.

https://youtu.be/Ujo3bSxMTLI

FAGUS SYLVATICA 1981-2021. Odissea di un faggio chiamato  “ZAMPA D’ELEFANTE”.

Alcuni anni prima.

FAGUS SYLVATICA 1981-2021. Odissea di un faggio chiamato  “ZAMPA D’ELEFANTE”.

Pino mugo uscito dal coma dopo sei anni, modellato come un “Trophaeum Cervidae”.

Pino mugo  uscito dal coma  dopo  sei  anni, modellato come un “Trophaeum   Cervidae”.

                               A cura di Armando e Haina Dal Col.

Questo pino mugo lo raccolsi nella primavera del 2013, ma poiché non era molto in forma non avevo la certezza di poterlo salvare, ma la speranza è l’ultima a morire!

Pino mugo modellato come un Trophaeum Cervidae.

La pianta presentava tre rami vivi con dei rametti morti, dovuti sicuramente alle sue condizioni di vita. Naturalmente utilizzai degli ormoni radicanti liquidi che iniettai alla base delle radici, con l’intento di far sviluppare nuovi capillari; oltre a questi, immersi la pianta   in una tinozza con acidi umici fulvici disciolti nell’acqua, riutilizzandoli successivamente per altre piante; il mugo lo trasferii in un vaso di coltivazione con pomice pura.

Passata l’estate dello stesso anno, il ramo apicale più importante cominciava a perdere vigore, e con l’arrivo della primavera successiva cessò di vivere! Amarezze e delusioni sono sempre presenti, ma questo non ci deve scoraggiare; infatti, il pino mugo aveva ancora due rami vivi! ma le gemme apicali di entrambi rimanevano inattive; il pino mugo era entrato in coma!

L’anno successivo, e siamo nel 2015, anche il secondo ramo apicale a poco a poco esaurì le forze che non gli permisero di superare l’estate, e anche questo ramo si seccò.

Ormai il pino mugo conservava il solo ramo basso con una biforcazione iniziale e con pochissima vegetazione per niente vigorosa, comunque se pur malconcio superò l’inverno mantenendo gli aghi verdi.

Quando ne parlai al Dr Simone Barani della Geosism, inviandogli anche delle foto per monitorare la situazione del pino mugo, si offrì di regalarmi una boccetta di micorrize da somministrare all’apparato radicale della pianta, che applicai subito nella primavera del 2016 al ritorno di Arco Bonsai, per ripeterla in autunno. Nell’occasione, rimossi il pino mugo dal vaso per poter ricontrollare l’apparato radicale, liberandolo parzialmente dalla pomice, nebulizzando le micorrize direttamente a contatto delle poche radici rimaste vive. Nel rinvaso del pino mugo, aggiunsi un 30%  di  zeolite  miscelandola alla stessa pomice.  Al risveglio della primavera del 2017,  la pianta con l’unico ramo rimasto vivo  era sempre nelle stesse condizioni. Continuai a somministrare le micorrize nel substrato, un paio di volte in primavera e un’altra in autunno, sperando in una sua ripresa. Riuscì a superare l’estate, anche se le gemme apicali non avevano energie per svilupparsi. La maggiore difficoltà che incontrava il pino mugo era quella di far asciugare le radici!

Con l’arrivo della primavera 2018, la situazione non era cambiata; gli aghi apicali che formano una specie di rosetta continuavano comunque a essere verdi, e con l’arrivo dell’autunno gli aghi erano diventati turgidi e di un bel colore verde, era un segno di incoraggiamento.

Le caratteristiche principali della pianta al momento, erano stranamente i rami morti -volutamente lasciati-, poichè la mia idea fu quella di creare una scultura vivente, identificabile con un trofeo di un austero maschio di cervo.

Siamo nel mese di gennaio 2019;  le temperature sono scese di alcuni gradi sotto lo zero. Bagnai abbondantemente il substrato del pino mugo affinchè  gelasse completamente, questo per poter operare con le frese elettriche.  Le basse temperature avevano creato un blocco unico del substrato, ciò mi ha permesso di  privare tronco e rami morti della corteccia, evitando così di creare delle vibrazioni che avrebbero potuto danneggiare i delicati capillari. Questo è stato possibile anche grazie al prezioso aiuto di mia moglie Haina, e sulle parti più difficili siamo ricorsi all’ausilio di bisturi e coltelli. Dopo la modellatura parziale, è stato applicato il liquido  di polisolfuro di calcio per jin, al fine di rendere più drammatica la parte scultorea, e com’era nelle mie intenzioni, ho cercato di  simulare  con il tronco morto e i rami denudati,  l’immagine virtuale del trofeo di un vecchio maschio di cervo!

Le somministrazioni annuali delle micorrize in questi due anni, con l’aggiunta di acidi umici liquidi, hanno aiutato a mantenere gli aghi turgidi, ma sarà solo con la stagione vegetativa del 2019 che si avrà la certezza di vedere se la pianta ce la farà a sviluppare le gemme apicali.

Marzo 2019,  malgrado la stagione invernale sia trascorsa con temperature “del Mezzogiorno”, il pino mugo ha ancora le gemme apicali ferme. Ciò nonostante decisi di rinvasare la pianta in un contenitore più “accattivante” rispetto a quello di plastica. Questo ci permise di controllare tutte le esigue radici, sottilissime ma comunque vitali. Certamente l’abbondanza di zeolite di sottile granulometria aggiunta al substrato aveva condizionato uno sviluppo di radici sottili, ma ora nel fondo del nuovo vaso dove poggeranno le radici, ho inserito della pomice micorizzata di granulometria superiore, tenuta separata dai precedenti rinvasi di conifere. Quando le radici si svilupperanno nel corso della stagione vegetativa, aumenteranno sicuramente il loro spessore.

Nel togliere tutto il substrato dalle radici del pino mugo, ho potuto perfezionare anche la base del tronco, prima completamente immersa nel terriccio. Questo mi ha permesso di ridurre parte  dei monconi delle vecchie radici primitive ormai morte, facilitando l’inserimento della pianta nel pregevole vaso artigianale  “Fior di loto”, creato anni fa da Mario Remeggio.

Fu solo con l’inizio del mese di maggio che le gemme apicali iniziarono a gonfiarsi, era il segno tanto atteso, desiderato e sperato, anche se in realtà, le candele a fine mese erano rimaste tali e quali. Le alte temperature estive  avevano raggiunto i 35, 38° gradi di caldo durante il giorno, ciò nonostante gli aghi   e le gemme della pianta continuavano a rimanere vitali.  Fortunatamente, osservando le gemme apicali dei rametti vivi,  evidenziano una discreta vigoria, e con le due immagini del 12 luglio, si notano bene le nuove gemme apicali ben distinte e lucide. Certamente non bisogna abbassare la guardia, saranno necessari ancora due tre anni di coltivazione mirata per avere l’infittimento di nuove gemme nei rametti secondari e terziari, raggiungendo l’immagine di una pianta sana e vigorosa come un Bonsai di altissimo livello artistico.

Ritornando sulle condizioni di vita di questa pianta dopo il periodo estivo del 2019, Il pino mugo, in un flebile palpito di vita, sembrava essere uscito finalmente dal coma,  dopo ben sei anni di morte apparente!

Nell’autunno del 2019 ho modellato anche le parti vive della pianta, riconducendole in un triangolo scaleno, con l’intento di simulare la “testa” del cervo con il suo imponente trofeo.

Nel mese di luglio del 2021, rami e rametti del pino mugo sono sempre più vigorosi, in forte contrasto con le parti morte di questo “Trofeus Cervide”!

La  sequenza delle immagini,  sarà maggiore durante  i due anni in cui sono state somministrate le micorrize  con l’aggiunta della zeolite, questo per monitorare i possibili sviluppi positivi.

Enjoy!

https://youtu.be/mgTHG2yxCAI

SPECCHIO

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.

E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

                                                       Di Salvatore  Quasimodo

MIRROR

And here on the trunk

gems break:

a newer green than grass

that the heart rests:

the trunk seemed already dead,

folded over the botro.

And everything tastes like a miracle to me;

and they are that cloud water

which today reflects in the ditches

his piece of sky bluer,

that green that breaks the skin

who wasn’t there even tonight.

                                                           by Salvatore Quasimodo

L’INCREDIBILE EVOLUZIONE DI UN CORNIOLO

https://youtu.be/mgTHG2yxCAI

SPECCHIO

Ed ecco sul tronco
si rompono le gemme:
un verde più nuovo dell’erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.

E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell’acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c’era.

                                                       Di Salvatore  Quasimodo

MIRROR

And here on the trunk

gems break:

a newer green than grass

that the heart rests:

the trunk seemed already dead,

folded over the botro.

And everything tastes like a miracle to me;

and they are that cloud water

which today reflects in the ditches

his piece of sky bluer,

that green that breaks the skin

https://youtu.be/mgTHG2yxCAI

who wasn’t there even tonight.

                                                           by Salvatore Quasimodo

Traduzione dal certificato- pergamena datami in lingua giapponese.

Traduzione dal certificato- pergamena datami in lingua giapponese.

Faggio di Armando Dal Col ITALY. Premio  Eccellenza! Illuminato!

L’Italia è grande. L’organizzazione della Japan Bonsai Association Kukai ha esposto alla mostra mondiale Bonsai Mizuishi il tuo Faggio; ha aggiunto brillantezza a questa mostra con questa pianta eccellente,

quindi mi illumino!

Esposto alla mostra Bonsai JAPAN NIHONBON il 27 aprile 1986. Giudizio dei Maestri: Eccellente! Illuminato!

Shuitsu-sho, Armand Dal Col Italy, Dolomiti.

27 Aprile 1986, Nippon Bonsai Association.

L’INCREDIBILE EVOLUZIONE DI UN CEPPO DI CORNIOLO, CONSIDERATO IL MIGLIORE BONSAI D’EUROPA.

L’INCREDIBILE EVOLUZIONE DI UN CEPPO DI CORNIOLO, CONSIDERATO IL MIGLIORE BONSAI D’EUROPA.

CORNUS  MAS  (CORNIOLO) BREVE DESCRIZIONE  E  SCHEDA  TECNICA

                         Testo e foto  di Armando e Haina Dal Col

Il Corniolo è un alberello dal piacevole aspetto che può raggiungere i 4-7 m di altezza. Ha il pregio di fiorire prestissimo coprendo i rami ancora spogli  con una miriade di fiorellini gialli, e grazie a questa sua caratteristica, è facilmente individuabile anche da lontano  fra la macchia arbustiva, altrimenti più difficile da riconoscere per chi non ha una certa conoscenza delle piante. Colonizza i boschi di pianura e di collina dell’Italia centrale e settentrionale, privilegiando  le zone calcaree dell’Europa centrale e sud-orientale. Prospera bene su terreni sciolti, argillosi e moderatamente umidi. Il legno del corniolo è molto duro, difficile da piegare.

Le foglie sono caduche, opposte a due a due ai nodi dei rami, di forma ellittico-ovale con apice molto acuminato, lunghe 5-7 cm con margine intero e superficie lievemente tomentosa.

I fiori, di colore giallo oro, hanno 4 petali e sono riuniti in corimbi semplici, cinti da 4 brattee molto più brevi e di colore giallo-verdognolo; sono opposti e inseriti lungo i rami, e compaiono molto precocemente prima dell’emissione delle foglie, già in febbraio-marzo.

Il frutto è una drupa ovale di colore rosso brillante, lunga fino a due cm, edule, astringente e leggermente acidula anche a maturità raggiunta, ma veramente buona quando cade naturalmente dai rami. Il frutto è provvisto di un lungo picciolo simile alle ciliegie.

Il Corniolo fa parte di quelle specie arboree a lento sviluppo, raggiungendo età plurisecolari. In esemplari annosi, il tronco appare nodoso e talvolta gibboso, con la corteccia che tendo a sfaldarsi, mettendo a nudo ampie chiazze. La difficoltà maggiore che incontra il corniolo, sta nello sviluppare un singolo tronco, robusto e con ramificazioni basse; infatti, predilige forme arbustive piuttosto disordinate.

Il suo legno è durissimo, e come dice un vecchio detto bellunese: “Te se duro come an Cornoler”, per indicare una persona dura di comprensione!

POTATURA DEI RAMI E DEI GERMOGLI.

La potatura dei rami di formazione alla struttura dell’albero,  andrebbe eseguita subito dopo la fioritura, accorciando le branche in relazione al disegno programmato.

Potare  i germogli che si sono allungati a fine maggio aumentando il numero dei rametti secondari e terziari, lasciando due-tre coppie di gemme in ognuno di loro. I rametti lasciati corti lignificheranno velocemente, e già in luglio-agosto inizieranno a formarsi le gemme da fiore. Se necessario, a fine settembre si procederà a un’ulteriore potatura dei germogli.  Andranno eliminati, nel frattempo, i succhioni al loro apparire, poiché sottraggono molte energie alla pianta. I succhioni, infatti, si sviluppano  vigorosi in verticale, e non portano gemme da fiore, per cui possono essere considerati dei parassiti vegetali. Naturalmente, se la base del tronco non è abbastanza robusta, e la prima parte del tronco è cilindrica o poco conica, si lasceranno crescere due tre succhioni che crescono alla base del tronco, ciò faciliterà un ingrossamento del tronco e, una volta raggiunta la conicità desiderata andranno eliminati.

    Ed ora una sequenza di immagini di questo secolare corniolo, dopo essere stato espiantato dal luogo di crescita nel marzo del 1992, fino al  suo massimo splendore visto nella primavera del 2018, per rivederlo nell’estate del 2020. Lo seguiremo negli anni nella sua lenta evoluzione, documentata dagli ennesimi rinvasi, fino all’ultimo rinvaso effettuato in febbraio del 2018, trasferendolo  in un  pregevole vaso artigianale smaltato giapponese, fatto da un Maestro di Tokoname, per presentarlo alla mostra internazionale Miyabi Ten,   tenutasi a Castelbrando di Cison di Valmarino, in Italia.

   Enjioy!

THE INCREDIBLE EVOLUTION OF A CORNEL STRAIN, CONSIDERED THE BEST BONSAI IN EUROPE.

THE INCREDIBLE EVOLUTION OF A CORNEL STRAIN, CONSIDERED THE BEST BONSAI IN EUROPE.

CORNUS MAS (CORNIOLO) SHORT DESCRIPTION AND TECHNICAL SHEET

                         Text and photos by Armando and Haina Dal Col

Corniolo is a pleasant-looking sapling that can reach 4-7 m in height. It has the advantage of blooming very early, covering the still bare branches with a myriad of yellow flowers, and thanks to this characteristic, it is easily identifiable even from a distance among the shrub scrub, otherwise more difficult to recognize for those who do not have a certain knowledge of plants. . It colonizes the plain and hill woods of central and northern Italy, favoring the limestone areas of central and south-eastern Europe. It thrives well on loose, clayey and moderately moist soils. Dogwood wood is very hard, difficult to bend.

The leaves are deciduous, opposite two by two at the nodes of the branches, elliptical-oval in shape with very sharp apex, 5-7 cm long with entire margin and slightly tomentose surface.

The golden yellow flowers have 4 petals and are gathered in simple corymbs, surrounded by 4 much shorter bracts and of a greenish-yellow color; they are opposite and inserted along the branches, and appear very early before the leaves are released, already in February-March.

The fruit is an oval drupe of bright red color, up to two cm long, edible, astringent and slightly acidic even when ripe, but really good when it falls naturally from the branches. The fruit has a long petiole similar to cherries.

Dogwood is one of those slow-growing tree species, reaching centuries-old age. In old specimens, the trunk appears gnarled and sometimes humped, with the bark that tends to flake off, exposing large patches. The greatest difficulty encountered by the dogwood lies in developing a single trunk, robust and with low branches; in fact, it prefers rather disordered shrub forms.

Its wood is very hard, and as an old Belluno saying goes: “Te se hard come an Cornoler”, to indicate a hard-to-understand person!

PRUNING OF BRANCHES AND BUDS.

The pruning of the branches forming the structure of the tree should be performed immediately after flowering, shortening the branches in relation to the planned design.

Prune the shoots that have elongated in late May by increasing the number of secondary and tertiary twigs, leaving two or three pairs of buds in each of them. The branches left short will lignify quickly, and already in July-August the flowering buds will begin to form. If necessary, further pruning of the shoots will be carried out at the end of September. In the meantime, the suckers will be eliminated when they appear, as they take away a lot of energy from the plant. The suckers, in fact, develop vigorous vertically, and do not carry flower buds, so they can be considered vegetable parasites. Naturally, if the base of the trunk is not strong enough, and the first part of the trunk is cylindrical or slightly conical, two three suckers will be allowed to grow at the base of the trunk, this will facilitate an enlargement of the trunk and, once the taper is reached. desired will be deleted.

    And now a sequence of images of this centuries-old dogwood, after being explanted from the place of growth in March 1992, to its maximum splendor seen in the spring of 2018, to see it again in the summer of 2020. We will follow it over the years in its slow evolution, documented by the umpteenth repotting, up to the last repotting carried out in February 2018, transferring it to a fine Japanese enameled artisan vase, made by a Tokoname Master, to present it at the Miyabi Ten international exhibition, held in Castelbrando di Cison di Valmarino, in Italy.

   Enjioy!

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L’ECO DEL “PATRIARCA” SUL MONTE POLLINO Haiku e Haibun in prosa, di Armando Dal Col

L’ECO DEL “PATRIARCA” SUL MONTE POLLINO

      Haiku e Haibun in prosa, di Armando Dal Col

Un preambolo per chi non conosce l’Haiku.

HAIKU: RITMI E SILENZI DELLA NATURA.

L’Haiku, genere poetico della letteratura giapponese, ha la forma più concisa che esista: esso consta di tre versi di 5, 7 e 5 sillabe; una brevità quasi epigrammatica che ha il sapore dell’immensità.

L’Haiku è un “detto non-detto”, un sottinteso, ha quasi l’aria di “scusarsi” di esserci, se l’esserci comporti una qualche violenza sull’essere puro.

Per la pecularietà di dire “nulla”, di liberare simboli o metafore, l’haiku possiede il fascino del frammento ed ha il potere di trasmettere sensazioni o emozioni nati da uno stato d’animo. Esso plasma i ritmi delle stagioni, densi ed eterni della natura.

Ho ancora vivo in me l’immagine del “Patriarca”,

il Pino Loricato millenario che vive sul monte Pollino, in Basilicata.

Le sue possenti radici scendono a raggiera sulla parete rocciosa strisciando come serpenti, a tratti in un saliscendi davvero impressionante.

E’ grazie al caro amico Gianni Picella di Bari, e ai nuovi amici incontrati a Castrovillari se ho potuto salire sul Pollino, vedere i vecchi e maestosi Faggi, i Pini loricati, affascinanti ed unici, poiché specie endemica, le cui origini, tuttavia,  appartengono alla Grecia e naturalizzatesi sul monte Pollino, probabilmente ad opera degli uccelli. Ho così potuto toccare con mano e sedermi sopra ad una radice del “Patriarca”, il pino più vecchio d’Italia.

E’ primavera

Le possenti radici

come serpenti

Cielo, sole, terra, roccia, neve e vento caratterizza questo lembo della Basilicata.

Nessun paesaggio è privo di vita, ma ovunque, l’ambiente è minacciato dall’uomo dove si compiono ripetuti atti di tortura.

Sul nostro pianeta, gli alberi e le genti si ergono diritti verso il cielo. Gli alberi portano il fardello del loro crescere, come vecchi maestri, mentre noi apprendiamo.

I Pini loricati del Pollino, con i possenti fusti coperti di grosse squame come il guscio di una tartaruga o di certi scudi antichi, hanno i rami contorti e mutilati, esempi di misteriose forze della natura. Essi sono dei superbi giganti  che colonizzano pareti rocciose e sono lì a sfidare per secoli tormente di neve e ghiaccio, fulmini e saette, temperature estreme, e incendi dolosi provocati dall’uomo…

Solo ricordi

scomparsi negli anni

Luci dell’alba

Il Pino loricato, morendo,  perde la corteccia,  evidenziando i tronchi attorcigliati i quali, sottoposti all’azione continua del vento, assumono una colorazione ossea-argentata, quasi lucente; gli alberi con la loro scheletricità,  appaiono così drammatici e affascinanti.

Tracce di vita

scomparse negli anni

Giunge l’inverno

In una radura, incontrammo dei resti di Pini loricati accasciati al suolo ormai in via di decomposizione, testimoni di lontane ere geologiche.

Un pino al suolo

Di fronte al suo inverno                      

rimango muto

 L’emozione che provai, penetrando in questa sorta di tempio, fu davvero indicibile, e si è colti da un profondo senso di serenità interiore che rende sazi in tutti i sensi.

L’escursione sul Pollino è giunta al termine ed ora è tempo di ritornare a valle. L’atmosfera di questo parco è rarefatta, eterea, e rispettosamente ci allontaniamo quasi in punta di piedi.

Accovacciati

sotto il pino disteso

Giorno di maggio