Pino silvestre modellato nello stile Bunjin dopo 25 anni dalla raccolta.

Pino silvestre modellato nello stile Bunjin dopo 25 anni dalla raccolta.

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Questo pino silvestre era stato raccolto insieme alla mia allieva Mercedes, durante una lezione con degli allievi per studiare il comportamento degli alberi in natura. La pianta cresceva in un anfratto roccioso, e per questioni di poca luce si era sviluppata sinuosa e sottile in cerca della luce. All’epoca aveva pochi rami concentrati verso la zona apicale, mentre nella parte bassa conservava dei monconi di rami seccatisi per mancanza di luce. Dissi a Mercedes che se la pianta dovesse attecchire sarebbe stata adatta per creare lo stile Bunjin che significa “Literati”.
A causa del mio trasferimento da Belluno a Tarzo, alcuni dei miei allievi del Bonsai Club Belluno si erano sentiti smarriti, senza la presenza del Maestro, timoniere del club, e per questo motivo persero l’interesse nella passione del Bonsai. Mercedes volle comunque conservare due piante che le ricordavano i momenti sereni delle lezioni fatte con me, mentre altre piante furono regalate o abbandonate a se stesse. Fortunatamente le due superstiti, un carpino bianco interrato e tuttora in buona salute, e questo pino silvestre ancora inserito nell’allora cassetta di polistirolo, lasciato semi abbandonato in un angolo del giardino per 20 anni, dandogli soltanto da bere saltuariamente.
Recentemente ci siamo rincontrati durante una sua visita nel mio giardino, e parlando dei vecchi tempi, Mercedes mi disse che aveva conservato ancora il pino silvestre raccolto 25 anni fa e che le sarebbe piaciuto se glielo avessi modellato nello stile Literati che tanto le piace come le dissi all’epoca dell’espianto. E fu così che in agosto ’16 Haina ed io andammo a casa loro per modellare la pianta.
Inutile dire che la dimostrazione tenutasi nel giardino di Mercedes e Orazio si è svolta in un clima festoso che ricordava i tempi passati. Anch’io amo particolarmente lo stile Literati, e quando le caratteristiche di una pianta sono tali da orientarla in questo stile mi sento particolarmente coinvolto, cercando di enfatizzare questo stile apparentemente facile, il quale invece esprime l’essenzialità della somma di tutti gli stili!
Il risultato raggiunto con il prezioso contributo di mia moglie Haina è stato davvero lusinghiero ed emozionante, e soprattutto lo è stato per Mercedes e suo marito Orazio. Ma ora lasciamo parlare le immagini di questa piacevole avventura, la quale dovrà essere necessariamente aggiornata nella prossima primavera quando il pino sarà rinvasato in un vaso bonsai adatto allo stile Bunjin. Enjoy!

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Faggio rosso con un figlio adottivo.

Storia di un faggio rosso con un carpino nato alla base.
Questo faggio rosso lo feci da seme e nacque nel 1986. Cresciuto abbastanza
decisi di trasferirlo in un vaso Bonsai molto basso. Negli anni successivi alla base della pianta nacque un carpino bianco, e così lo lasciai crescere in compagnia tenendolo però molto basso. Nel 2010 il faggio fu attaccato nella parte alta del tronco da chiazze ovali longitudinali di colore grigiastro, una crittogame patogena che progredendo crea delle fessurazioni sulla corteccia portando alla morte la zona colpita. Malgrado interventi massicci con fitofarmaci a largo spettro d’azione dovetti tagliare la parte del tronco colpita, trasferendo nel contempo la pianta in un “contenitore” con maggiore quantitativo di terriccio. La pianta negli anni successivi si mantenne sana generando nuova vegetazione che lasciai crescere indisturbata. Agli inizi del mese di giugno di quest’anno (2016) decisi di rimodellare il faggio e di contenere le dimensioni del carpino cresciuto eccessivamente. Naturalmente dovevo abbandonare l’idea di “Albericità” che aveva in precedenza, impostandolo in una forma ombrelliforme. Prima della modellatura praticai la defogliazione totale del faggio e quella parziale del carpino, il quale doveva apparire anche lui in una forma molto compatta. Dopo una ventina di giorni il faggio rosso si è coperto di nuova vegetazione dal colore tenue rosato. Ed ora vediamo alcune immagini di questa coppia di piante che convive insieme tranquillamente.

Foto 1, il faggio visto nel 2007 ripreso in una mia personale in piazza a Tarzo.

Faggio rosso con il carpino bianco alla base.

Faggio rosso con il carpino bianco alla base.

Foto 1

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Foto 12 Firma e Logo di Armando Dal Col

Foto 2, il faggio visto l’8 giugno 2016.
Foto 3, il faggio visto dal lato opposto.
Foto 4, potatura e defogliazione.
Foto 5, la zona apicale del faggio priva di interesse bonsai stico.
Foto 6, viene tolta una porzione di legno per creare conicità.
Foto 7, carpino e faggio modellati.
Foto 8, la pianta vista dal lato opposto.
Foto 9, due luglio 2016, il faggio si è vestito di un tenue colore rosa.
Foto 10, Il faggio visto da un’altra angolazione.
Foto 11, Haina fra i Bonsai ammira compiaciuta una ortensia amorevolmente curata dai tenui colori rosa lillacino.
Foto 12, il logo dei maestri Armando e Haina Dal Col.

Sposi nel Sei Wa Bonsai En per il servizio fotografico.

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Sposi di Mestre posano nel giardino museo Bonsai della serenità a Tarzo.
I maestri Armando e Haina Dal Col hanno messo a disposizione il loro giardino Bonsai per una copia di sposi, affinchè i fotografi potessero immortalare il loro evento. Uno straordinario scenario nel tempio della storia del Bonsai italiano -unico in Europa -, dove i fotografi hanno potuto immortalare questa fortunata copia di sposi provenienti da Mestre. I coniugi Dal Col metteranno ancora a disposizione il loro giardino per avvenimenti importanti anche di altra natura, invitando gli interessati a prenotare l’evento telefonando allo 0438 587265 oppure al 349 3708802, donando un contributo libero a sostegno del museo Bonsai.

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1966 – 2016, 50 anni insieme con la mia Betulla fatta da seme.

1966 – 2016, 50 anni insieme con la mia Betulla fatta da seme.

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La storia di questa betulla fatta da seme nata nella primavera del 1966, inizia con la prima foto del febbraio del 1971, quando decisi di dargli una forma come la chioma di Medusa usando il filo di rame degli elettricisti. Forma sicuramente insolita per una betulla, poiché mi ero ispirato alla Sophora japonica tortuosa cui ero rimasto molto affascinato. Infatti, come le serpi della chioma di Medusa, la Sophora japonica intreccia i suoi rami contorti e tormentati. La Betulla a fine ottobre del 2013 è stata trasferita di nuovo in piena terra per trascorrere l’inverno indisturbata, ma durante la stagione del 2014 il tronco secondario era entrato in forte sofferenza fino a seccarsi. Ecco perché decisi di lasciarla ancora in piena terra con il vaso fino al mese di marzo del 2016, effettuando un nuovo rinvaso sostituendo il contenitore. Questa essenza ricordiamolo non è facile, ed è così che ad ogni primavera si rinnova una comprensibile ansia in attesa di rivedere la vita che pulsa dalle tenui gemme, fino a gonfiarsi per poi emettere le delicate foglioline.
La storia di questa betulla fatta da seme è nata nella primavera del 1966; la primavera del 2016 è già arrivata, e dopo fatto l’ennesimo rinvaso e atteso la ripresa vegetativa, ci siamo di nuovo immortalati insieme. Da quella lontana primavera del 1966 sono trascorsi 50 anni che condividiamo la vita in comune, quante primavere potremo trascorrere insieme prima che uno di noi due attraversi il fiume?

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Armando con la Betulla nel 1971

Betulla 1966-2016. 50 anni insieme

Betulla modellata come la Medusa ripresa nel 2013

Betulla modellata come la Medusa

Foto 1,Armando nel 1971

Foto 2,Betulla Medusa

Foto 3,Betulla nel 1991

Foto 4,Betulla nel 2001

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Foto 5,Betulla marzo 2011

Foto 5,Betulla nel 2011

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Foto 9,la betulla nel luglio 2011

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Visitiamo il SEI WA BONSAI EN

Visitando il giardino museo Bonsai della serenità (Sei Wa Bonsai En) come si dice in giapponese, si rimane stupiti per la semplicità di come vengono accolti i visitatori. La straordinaria bellezza delle numerose specie di piante, prevalentemente della flora italiana e giapponese, sapientemente modellate nella loro forma riconducibile pur nell’estrema miniaturizzazione, invitano anche chi ha difficoltà ad avvicinarsi a questa disciplina.

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SUISEKI, ARTE O FILOSOFIA?

SUISEKI, ARTE O FILOSOFIA?
Le pietre testimoniano le bellezze della natura.

Suiseki Giano Bifronte in meditazione

Nato in Cina oltre 2000 anni fa, il Suiseki è una forma d’arte che si è “affacciata” in Italia solo da un paio di decenni prima della fine del secondo millennio, e così è avvenuto anche nel resto dell’Occidente. La raffigurazione del Suiseki rappresenta delle forme simboliche della natura.
Confesso che non ho una grande conoscenza della filosofia del Suiseki, pur essendomi interessato fin dal 1975 cercando di diffonderlo in Italia. Lo so che non esiste una sola verità, e di certo non voglio imporvi la mia; cercherò di coinvolgervi nella mia passione in punta di piedi, lasciando ad ognuno di voi la scelta d’accostarsi al fascino che le pietre suscitano. Non me ne vogliano i puristi del Suiseki per come li presento, li vedo e li sento a modo mio, e se vi ho portato fuori strada, vi prego di scusarmi.
La parola Suiseki è composta da due ideogrammi: Sui, che significa “acqua” e Seki che vuol dire “pietra”, e in origine la pietra veniva immersa in un vassoio senza i fori di drenaggio e dal colore che potesse richiamare l’acqua.
In seguito quest’uso venne meno, e si usò la sabbia fine e levigata per simboleggiare il liquido elemento che poteva simulare il mare, l’impetuoso torrente o il quieto lago. Attualmente per Suiseki si intende comunemente la pietra posta su un vassoio di ceramica (o di bronzo) molto basso e senza i fori di drenaggio che si chiama “Suiban”, oppure un supporto di legno o “Dai, Daiza”, modellato secondo il contorno della pietra stessa. Il vassoio Suiban o il supporto di legno per la pietra ha molte analogie con il vaso per il Bonsai, poiché entrambi rappresentano la continuità del paesaggio circostante del soggetto che vi viene posto.
Lo stesso Suiseki può cambiare “abito”, infatti, nelle calde giornate d’estate l’uomo e gli animali cercano di ripararsi all’ombra di un vecchio albero per godere della frescura, e così pure il Suiseki viene esposto in un Suiban contenente della sabbia fine, in quanto crea un’atmosfera più fresca. Viceversa, nel periodo invernale viene presentato nel Daiza, o base di legno, in quanto crea un ambiente più caldo.
La metafora appena descritta non è così assurda o fantasiosa come si potrebbe presumere: nel concetto, e nella parola stessa, Suiseki, è racchiuso un preciso simbolismo della filosofia Zen, simbolismo che fu un apporto giapponese a quest’arte.
Dopo circa seicento anni dalla sua nascita, infatti, il Suiseki fu importato in Giappone da alcuni monaci buddisti. E là dove in Cina le pietre-paesaggio erano soprattutto omaggio superstizioso a divinità piuttosto suscettibili, in Giappone divennero un ottimo strumento per divulgare le dottrine filosofiche del Buddismo Zen.
Acqua e pietra sono quindi rappresentazioni dei principi Yin e Yang, da cui tutto deriva e a cui tutto è riconducibile.
Yin è il principio femminile, e dunque l’acqua, e tutto ciò che è tenero, flessibile, umido, freddo, buio, ricettivo, concavo, interno e interiore.
Yang, principio maschile, è la pietra, e cioè calda, ruvida, solida, immutabile, solare, convessa, penetrante, esteriore. L’unione dei due princìpi è perfezione, eternità, divinità: tutto ciò a cui deve aspirare l’uomo saggio, e perciò è bene che gli sia ricordato che i simboli del Suiseki, con i quali peraltro può allenarsi alla meditazione, conducono alla ricerca interiore.
Ma per capire qualcosa in più del mondo ideale e idealizzato del Suiseki bisogna considerare che, a differenza del Bonsai, il materiale adoperato è assolutamente inerte, immutabile appunto, e che l’uomo non può e non deve in nessun modo intervenire sul “corpo” della pietra, ma solo sull’acqua (o sulla sua rappresentazione che è il piedistallo, meglio definito con il nome di “Daiza”). Infatti, l’unico intervento diretto sulla pietra può essere acconsentito solo nel taglio parziale di qualche spuntone roccioso presente sotto la base della pietra, questo per agevolare il lavoro della costruzione della base di legno, mentre la simulazione di cascate d’acqua, crepacci, valli devono essere fatti dalla natura, non dalla mano dell’uomo. E in questo piegarsi del legno alle linee della pietra sta il richiamo all’acqua che, per sua natura, si adatta appunto, in una sorta di abbraccio materno, alla solidità dell’elemento che vi viene posto. Così l’uomo, dovendo accontentarsi di cercare e trovare le pietre, pulirle dalle eventuali incrostazioni e sceglierne il lato migliore come futuro fronte, non dimentica la sua natura umile e imperfetta di fronte alla divinità, che è la vera artefice -e artista- del Suiseki.
Come per il Bonsai, comunque, anche qui esistono degli stili o meglio “chiavi di lettura” che ne regolano la forma con delle caratteristiche che ne rivelano il contenuto.
Gli stili o chiavi di lettura sono cinque; secondo il primo, la pietra deve chiamare alla memoria le sembianze di una montagna o un’isola. Il secondo è quello dello zoomorfismo o dell’antropomorfismo. Nel terzo la pietra ha una forma puramente astratta, particolarmente bella o curiosa. Il quarto comprende pietre composte da diversi minerali come il quarzo che può far apparire delle figure umane, o di animali, oppure dei fiori come la famosa “pietra crisantemo” o Kikkaseki presente in Giappone. Il quinto, raffigura semplicemente delle pietre colorate dalle forme interessanti.
Le quattro caratteristiche essenziali del Suiseki sono ancora espressione della filosofia Zen. Si tratta di Wabi, Sabi, Jugen e Shibui; con una traduzione inevitabilmente sommaria, – perché concetti filosofici sono sempre difficilmente trasportabili in altre lingue che non siano quella d’origine-. Potremmo definirli Modestia, Maturità, Mistero e Compostezza, ma anche Malinconia, Solitudine, Meditazione. Di queste qualità, almeno due devono essere presenti in un Suiseki per definirlo tale, secondo lo Zen. E di tutte, le più alte, preziose e desiderabili -nella pietra certo, ma naturalmente anche nell’uomo- sono la Modestia e la Maturità, che insieme danno una condizione (rara e insidiabile, perché vicina al mondo divino) che si potrebbe chiamare “profondità dello spirito”.

Foto 214, particolare del Ryoan-ji.

Il Tempio Ryoan-ji si trova a Kyoto, in Giappone e fu costruito nel 1450 secondo i codici della filosofia Zen dal famoso artista Soami.

Foto 218, storico Suiseki giapponese.

Storico Suiseki giapponese.
Questa pietra isola fa parte della storia del Suiseki in Giappone. Il vaso Suiban, molto antico, è appoggiato sopra un tavolino di ciliegio, e la pietra nera Palombino simula un’isola con l’altipiano, la quale “emerge” dalle acque del mare rappresentato dalla sabbia bianca.

Foto 220 A, storico Suiseki giapponese.

Pietra crisantemo o Kikkaseki giapponese.

Foto 217, Suiseki in un tempio cinese.

Cultura cinese, Suiseki in grandi vassoi di marmo.

Foto 220, Suiseki delle Dolomiti.

Foto 244, primo piano della montagna dolomitica.

Suiseki delle Dolomiti Bellunesi.
Veramente splendida questa pietra dolomitica che rappresenta il picco di una montagna.

Foto 221, Suiseki, culture a confronto.

Suiseki, culture a confronto.
La dama dell’800 ammira la pietra-paesaggio con una certa nobile ponderazione.
La pietra è qui presentata in un vassoio di bambù, riempito in parte con della sabbia di fiume.

Foto 222, montagna dei mari del nord.

Montagna dei mari del Nord.
La pietra è stata inserita in un Suiban ovale, e la posizione nel vaso rispetta le stesse regole come il Bonsai. La pietra ha un movimento dominante verso sinistra, per cui è stata posizionata nel vaso sul lato destro e in posizione decentrata.

Foto 227, Suiseki Giano Bifronte.

Suiseki, Giano Bifronte.
Anche questa pietra proveniente dalle Dolomiti Bellunesi fa parte del secondo stile, identificabile nel gruppo della chiave di lettura dello zoomorfismo e dell’antropomorfismo. Ed è curioso il fatto che la pietra abbia due fronti con una chiave di lettura facilmente identificabile.
Questo primo fronte può raffigurare un frate mentre prega o predica, ma io lo vedo meglio come Giano Bifronte, mitico re del Lazio, era figlio di Apollo e della Ninfa Creusa.

La Marmotta

Suiseki, la Marmotta,  o meglio il Suricato, animaletto “sentinella” appartenente alla famiglie delle Manguste. La faccia posteriore di Giano Bifronte.
E’ incredibile come una semplice pietra possa nascondere più facce. Infatti, il lato posteriore di questo Suiseki rivela le inconfondibili sembianze della simpatica Marmotta che, guardinga, osserva da dietro una roccia delle Dolomiti l’uomo che è entrato nel suo territorio.

Foto 230, Suiseki, montagna vista da lontano.

Foto 239, montagna dal fascino irresistibile.

Suiseki, montagna vista da lontano.
Questo Suiseki simula una montagna vista in lontananza con le sue ricche distese di vegetazione arborea. Ai confini del bosco misto, si espandono i verdi pascoli nella quiete pedemontana.

Foto 277, Suiseki, tempio pagoda.

Suiseki la Pagoda

Suiseki tempio pagoda.

Foto 283, Suiseki Boletus edulis.

Suiseki, “Boletus edulis” (fungo Porcino).
Da notare la straordinaria somiglianza di questa pietra con il buon fungo “Porcino”.

Foto 234, montagna del Colorado.

Montagna del Colorado.
In alcune aree del Colorado le montagne sembrano levigate dalle tormente di sabbia, assumendone anche la colorazione.

2, rifinitura del daiza

Tecnica nella costruzione del Daiza.

Larice abbarbicato sulla roccia nello stile Ishi-Zuki.

Larice abbarbicato sulla roccia nello stile Ishi-Zuki.

Esistono tre forme fondamentali di Bonsai su roccia: Ishi-Zuki, Insho Gata-Ishi e Sekijoju.
Lo stile Ishi Zuki simula uno scenario roccioso alpestre o marino, dove i venti e le acque plasmano sia le rocce che gli alberi, ma può rappresentare anche quieti paesaggi rocciosi.
In questo stile, il sistema radicale viene collocato nelle cavità della roccia stessa e poiché essa funge da contenitore è necessario farci stare il maggior quantitativo di terriccio possibile, poiché gli alberelli non andranno mai più rimossi.
E’ chiaro che la roccia prescelta deve avere “carattere” e movimento; questa, oltre a rappresentare uno scoglio, una montagna, un’isola, un litorale aspro e roccioso, una forma bizzarra o antropomorfa o un tronco bitorzoluto imponente, deve avere una dimensione adeguata per sostenere
una o più piante e che armonizzi con l’albero principale a cui è destinata.
La roccia come l’albero, ha una sua parte frontale che la rende particolarmente interessante, e così pure l’apice e gli altri lati che creino una
prospettiva tridimensionale. In ognuna di queste superfici di maggior interesse è preferibile evidenziare la nudità della roccia, lasciando ampie zone prive di vegetazione.
Pini, ginepri, larici, aceri, frassini, olmi, fichi, sono sicuramente gli alberi più adatti, ma molte altre sono le essenze usate negli stili su roccia.
Si potranno inserire in punti sparsi delle piantine secondarie, erbacee perenni adatte e vari tipi di muschi dai colori policromi in modo da formare un insieme armonioso e naturale.
Si procederà piantando l’albero principale già abbastanza formato, liberando le radici dal terriccio di coltivazione; la pianta deve avere un apparato radicale molto contenuto e forte. Prima di fissare definitivamente l’albero con il filo, va controllata la posizione considerando il fronte, la disposizione delle radici, l’inclinazione, la disposizione dei rami rispetto alla parete rocciosa, più altri elementi secondari, comunque facilmente modificabili.

La pianta presa in esame per questo ishi-zuki è un piccolo larice, mentre la pietra è pura dolomia che ben rappresenta un picco dolomitico.
Si è scelto un vaso basso ovale dove appoggiare la pietra, e poiché ha un aspetto verticale è stato necessario ancorarla per non farla cadere.
Questo ishi-zuki ebbe inizio il mese di ottobre del 2013, e con l’aiuto di mia moglie Haina l’abbiamo portato a termine.
Dopo un paio d’anni, lasciato libero di vegetare, in questi giorni di novembre l’ho ripreso per risistemare alcuni rametti, poiché nel frattempo si è ben consolidato sulla roccia.
Vediamo alcune immagini del primo step del 2013, ed altre nel 2015.
Buona visione da Armando e Haina.

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